Sottostimati gli effetti collaterali delle statine

Le statine sono una classe di farmaci utilizzati per ridurre il colesterolo. Funzionano in modo efficace, ma lo sono altrettanto nel ridurre il rischio cardiovascolare?

Scopriamo in che modo gli effetti collaterali delle statine sono stati sottostimati e i benefici sovrastimati, utilizzando un calcolo statistico che inganna la percezione.

Effetti collaterali delle statine nascosti e benefici gonfiati dai calcoli statistici

Negli studi che hanno condotto alla messa in commercio di questi farmaci, i dati sono stati presentati in termini di rischio relativo con l’intenzione di fuorviare medici, pazienti e il resto del pubblico. Il rischio relativo consente di ingigantire un dato percentuale così da esagerare un beneficio minuscolo.

Statine inefficaci non riducono la mortalità

Si scopre quindi che la riduzione della mortalità cardio-vascolare negli studi di prevenzione secondaria (pazienti con diagnosi) è abbastanza bassa e non eccede il 2%1.

Gli effetti avversi invece sono molti e piuttosto gravi non solo per il sistema cardiovascolare: iperglicemia, diabete, alterazioni cognitive, cataratta, cancro, alterazioni muscolo scheletriche.

Tra l’altro, quel minuscolo beneficio ottenuto con la riduzione del colesterolo, evidenziato negli studi, è indipendente dal grado di riduzione di infarti ed ictus. Ciò significa che la riduzione di eventi cardiovascolari dipende da altri fattori, non dal fatto che è stato utilizzato un farmaco per ridurlo.

Solo analizzando i dati degli studi in modo trasparente, appare chiaro come, a fronte di un beneficio molto limitato, emergono frequenti effetti collaterali.

Come la statistica nasconde

Negli esempi successivi si mostrerà come l’apparenza dell’efficacia dipenda dal fatto che i risultati sono stati descritti sfruttando il “rischio relativo” e disegnando e interpretando gli studi in modo da minimizzare gli effetti collaterali.

Ma prima di analizzare i dati degli studi, è necessario comprendere la terminologia usata nella ricerca.

Abbiamo 3 termini statistici:

  1. riduzione del rischio relativo (Relative Risk Reduction),
  2. riduzione del rischio assoluto (Absolute Risk Reduction)
  3. numero di persone da trattare (Number Needed To Treat).

Per chiarire questi termini, consideriamo uno studio durato 5 anni, che ha coinvolto 2000 individui sani di mezza età. L’obbiettivo di questo studio era verificare se le statine possono prevenire una malattia coronarica. A metà dei partecipanti è stato somministrato un placebo (sostanza priva di principi attivi) e all’altra metà una statina.

Durante i 5 anni di studio, il 2% circa degli individui riceventi il placebo hanno un infarto miocardico non fatale, contro l’1% degli individui che assumono la statina.

La statina è stata quindi di beneficio all’1% degli individui e 1% è la riduzione del rischio assoluto.

Messa in un altro modo, la probabilità di NON avere un infarto miocardico non fatale è del 98%, mentre assumendo una statina questa probabilità si riduce ulteriormente dell’1% e arriva al 99%.

Il numero di persone da trattare per ottenere un beneficio, (100/riduzione del rischio assoluto) in questo caso è 100, cioè è necessario trattare 100 persone per 5 anni perché 1 ne abbia un beneficio.

Quando si tratta di presentare i risultati della ricerca ai medici o al pubblico, i responsabili della ricerca sanno che le persone non saranno impressionate dall’aumento di un 1%. Perciò, invece di usare la riduzione del rischio assoluto, presentano il beneficio in termini di riduzione del rischio relativo (RRR).

La riduzione del rischio relativo deriva dalla riduzione del rischio assoluto ed esprime la differenza (nella presenza di malattia tra i due gruppi) con una frazione.

Quindi, usando la riduzione del rischio relativo, i responsabili della ricerca possono dire che la statina, anziché ridurre l’incidenza di infarto miocardico non fatale da 2% a 1%, riduce l’incidenza di infarto miocardico del 50%, dato che 1 è il 50% di 2. Capito l’inganno?

Come si abbelliscono i benefici delle statine

Nei media e nella letteratura medica l’effetto trascurabile del trattamento con le statine è stato ingigantito usando la riduzione del rischio relativo.

Un’analisi approfondita dei dati presentati negli studi che hanno promosso l’uso statine, scaricabile qui, ha permesso di conoscere la verità.

Qui di seguito l’analisi dello studio JUPITER2 che ha promosso l’uso della rosuvastatina.

Nello studio JUPITER, la rosuvastatina o un placebo sono stati somministrati a 17.802 persone sane con un’elevata PCR, ma senza storia di malattia cardiovascolare o elevati livelli di colesterolo.

L’obbiettivo della ricerca era verificare nei due gruppi l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori, definiti come infarto miocardico non fatale, ictus non fatale, ospedalizzazione per angina instabile, necessità di rivascolarizzazione arteriosa, o morte secondaria ad eventi cardiovascolari. Lo studio è stato interrotto dopo un follow-up medio di 1,9 anni.

Il numero di soggetti che hanno avuto eventi cardiovascolari maggiori è 251 (2.8%) nel gruppo di controllo che assumeva il placebo e 142 (1.6%) nel gruppo che assumeva la rosuvastatina. La riduzione del rischio assoluto è del 1.2% e il numero di persone da trattare (100/1.2%) è quindi 83.

Infarti evitati pochi o non dichiarati

Nella ricerca, il beneficio per quanto riguarda il numero di infarti miocardici fatali o non fatali è anche meno: ci sono stati 68 (0.67%) eventi nel gruppo del placebo contro 13 (0.35%) nel gruppo della statina, corrispondenti a una riduzione del rischio assoluto di 0.41% e un NNT di 244.

Questo significa che per quanto riguarda gli infarti miocardici fatali e non fatali, meno dell’1% della popolazione trattata (lo 0,41%) ha beneficiato del trattamento con la rosuvastatina.

Nonostante questo effetto striminzito, sui media il beneficio del farmaco è stato riportato con frasi del tipo “oltre il 50% evita un infarto miocardico”, dato che 0.41 è il 54% di 0.76.

Quindi i medici e il pubblico sono stati informati di una riduzione del 54% degli infarti quando in realtà la riduzione effettiva nella popolazione trattata è di meno di 1 punto percentuale.

Inoltre, la riduzione del rischio assoluto di 0.41% deriva dall’insieme di infarti miocardici fatali e non fatali.

É stata prestata poca attenzione al fatto che sono morte più persone di un infarto nel gruppo che assumeva il farmaco e anche ricercatori esperti possono non aver considerato questo dato poiché non veniva esplicitato nella pubblicazione.

I numeri sono nascosti in una tabella dell’articolo pubblicato: sottraendo il numero di infarti non fatali dal numero di tutti gli infarti risulta infatti che nel gruppo che assumeva la statina si sono verificati 11 infarti fatali, mentre nel gruppo di controllo solo 6.

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Nonostante il minuscolo effetto della rosuvastatina, nei media i risultati di JUPITER sono stati gonfiati.

Su Forbes Magazine, John Kastelein, uno dei coautori dello studio ha proclamato: “É spettacolare, finalmente abbiamo dei dati robusti che una statina previene un primo infarto miocardico”.

Questa e altre dichiarazioni trionfanti hanno convinto l’agenzia regolatoria del farmaco americana (FDA) a raccomandare il trattamento con rosuvastatina anche a persone con normali livelli di colesterolo ed elevata PCR.

Nella pubblicazione dei risultati di JUPITER, non sembra esserci differenza negli effetti avversi dei due gruppi.

Comunque, nel gruppo trattato con il farmaco c’erano 260 nuovi casi di diabete contro i 216 del gruppo di controllo (3% vs 2.4%; p<0.01).

Al contrario degli effetti benefici del farmaco amplificati usando il rischio relativo, l’effetto significativo dell’aumento dei nuovi casi di diabete nei pazienti che assumevano la rosuvastatina è stato espresso solo in forma di aumento del rischio assoluto.

Una valutazione oggettiva di JUPITER avrebbe dovuto essere comunicata in questo modo: “La probabilità di evitare un infarto miocardico non fatale nei prossimi 2 anni è di circa il 97% senza trattamento, ma si può aumentare a circa il 98% assumendo rosuvastatina ogni giorno.

Comunque, la vita non viene prolungata ed è aumentato il rischio di diabete, senza menzionare altri effetti avversi, tra cui lo sviluppo di tumori.

Effetti collaterali delle statine minimizzati: esempi

Un secondo problema degli studi che riguardano le statine sono le distorsioni sistematiche per minimizzare gli effetti avversi3.

Gli effetti collaterali delle statine sono sostanziali e includono un’aumentata incidenza di cancro, cataratta, diabete, iperglicemia, alterazioni cognitive e malattie muscolo-scheletriche.

Negli studi è evidente l’intenzione di ingannare. Mentre il beneficio delle statine è sempre riportato con la forma del rischio relativo, gli effetti collaterali invece sono sempre espressi con il rischio assoluto.

Le analisi che seguono riguardano uno dei seri eventi correlati all’assunzione delle statine che sono stati minimizzati: il cancro4.

Cancro: vari studi sulle statine hanno riportato un aumento dell’incidenza di cancro.

In tutti gli studi l’incremento di incidenza era statisticamente significativo. in questa sede ne sono stati riportati solo 3 esempi.

L'effetto della pravastatina sugli eventi coronarici dopo l'infarto miocardico in pazienti con livelli medi di colesterolo. Ricercatori dello studio sul colesterolo e gli eventi ricorrenti › N Engl J Med 1996

Pubblicazione originale

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Dopo 5 anni di trattamento, nel gruppo che assumeva il farmaco sono morti 24 pazienti per patologia cardiovascolare (1.15%), nel gruppo di controllo che assumeva placebo i morti sono stati 38 (1.83%).

La riduzione del rischio assoluto è dello 0.68%.

L’effetto collaterale più serio è stato il tumore alla mammella, riscontrato in 12 donne (4.2%) nel gruppo che assumeva la prasuvastatina e in 1 donna (0.34%) nel gruppo che assumeva il placebo.

La differenza di incidenza tra i due gruppi è statisticamente rilevante (p = 0.0002).

Gli autori però hanno minimizzato l’aumento del rischio di cancro scrivendo: “Non c’è nessuna conosciuta potenziale base biologica… la totalità dell’evidenza suggerisce che questo riscontro nello studio CARE potrebbe essere un anomalia meglio interpretata nel contesto della bassa frequenza di eventi avversi dello studio e nel valutazione statistica di vari eventi avversi”.

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Tuttavia, esiste una base biologica che correla le statine all’aumento del rischio di cancro. Un’estesa ricerca indica che le lipoproteine partecipano attivamente al funzionamento del sistema immunitario e una riduzione dei livelli di colesterolo è associata a un’aumentata incidenza di cancro.

Inoltre, studi con gruppi di malati di cancro e gruppi di controllo con persone sane hanno mostrato che i pazienti ammalati di cancro usavano statine in modo significativamente maggiore rispetto ai soggetti dei gruppi di controllo.

Pravastatina in persone anziane a rischio di malattia vascolare (PROSPER): uno studio controllato randomizzato › Lancet 2002

Pubblicazione originale

A metà dei soggetti è stata somministrata prasuvastatina, all’altra metà un placebo. Dopo un follow-up di 3,2 anni, nell’abstract dell’articolo si leggeva che la mortalità da malattia cardiaca veniva ridotta del 24% dalle statine. Tuttavia, analizzando meglio una delle tabelle, il 3,3% dei pazienti era morto nel gruppo delle statine contro il 4,2% nel gruppo di controllo, per una riduzione del rischio assoluto dello 0,9%.

Il piccolo beneficio sulla mortalità cardiovascolare veniva però annullato da un sostanziale numero di pazienti che morivano per un cancro: nel gruppo della prasuvastatina c’erano 28 morti in meno per patologia cardiovascolare, ma 24 morti in più per cancro.

Se includiamo nel calcolo casi di cancro che non avevano (ancora) portato alla morte i pazienti, il totale era di 245 pazienti nel gruppo che assumeva il farmaco e 199 nel gruppo che assumeva il placebo, una differenza statisticamente significativa (p = 0.02).

Inoltre la differenza tra i due gruppi nei casi di tumore aumentava di anno in anno. Nonostante una differenza statisticamente significativa, la conclusione degli autori era che “la più probabile spiegazione nello sbilanciamento nell’incidenza di cancro nello studio PROSPER è la casualità, che potrebbe in parte derivare dal reclutamento di individui con una malattia occulta”.

Per minimizzare ulteriormente questo riscontro gli autori hanno contato il numero di nuovi tumori in tutti i precedenti studi con la prasuvastatina e trovato che presi insieme non c’era un aumento significativo.

Ma nel loro calcolo gli autori hanno omesso due fattori importanti: non hanno calcolato il numero di individui con tumori della pelle e non hanno detto che negli studi precedenti i partecipanti erano di 20-25 anni più giovani.

PROSPER è uno studio particolarmente importante e unico dato che le statine sono usate nelle popolazione anziana. Il cancro è un riscontro frequente negli studi autoptici delle persone anziane la cui morte è attribuita a un’altra causa.

Questo perché il cancro è spesso latente e cresce così lentamente che spesso non diventa un problema nel corso della vita, a meno che la crescita non sia accelerata da fattori esterni.

Se il trattamento con le statine o la riduzione del colesterolo può essere un fattore che causa il cancro, come mostrato in modelli animali, è probabile che la popolazione anziana ne venga colpita per prima. Ci sono grandi differenze tra i periodi di incubazione tra i vari tipi di cancro e quelli più facili da diagnosticare sono quelli che compaiono prima.

Escludere i tumori della pelle introduce una distorsione importante. Nei primi due studi, riguardanti la simvastatina (4S5 e Heart Protection Study6), erano stati diagnosticati tumori della pelle in più pazienti tra quelli che avevano ricevuto il farmaco.

Questi dati sono inclusi nelle tabelle degli articoli e non compaiono nel testo, forse perché la differenza non era statisticamente significativa, ma se si combinano i dati dei due studi, l’associazione tra cancro e statine diventa significativa (256/12454 vs 208/12459; p < 0.028).

Un’altra ricerca sulle statine riguarda un gruppo di pazienti in cui il cancro compare più spesso.

Abbassamento lipidico intensivo con simvastatina ed ezetimibe nella stenosi aortica › N Engl J Med 2008

Pubblicazione originale

In questo studio sono stati inclusi 1873 pazienti con vari gradi di stenosi aortica.

La metà sono stati trattati con simvastatina e ezetimide, l’altra metà con un placebo. Eccetto che per una riduzione degli eventi ischemici, non è stato identificato nessun beneficio nei 4,3 anni di trattamento. Comunque, il cancro si è verificato in 105 (11.1%) pazienti che assumevano il farmaco ma solo in 70 (7.5%) pazienti nel gruppo di controllo, un effetto statisticamente significativo (p <0.01).

Gli autori hanno notato l’aumentata incidenza di cancro nei pazienti trattati, ma hanno scritto che “dato che la terapia a lungo termine con le statine non è stata associata ad un aumento del rischio di cancro, la differenza di incidenza di cancro osservata nello studio può essere il risultato del caso”.

La maggior parte degli studi sulle statine terminano dopo 2-5 anni, un periodo di tempo troppo corto per valutare lo sviluppo della maggior parte dei tumori.

Se le statine siano carcinogene o meno è una questione aperta. In ogni caso è forte l’evidenza che la riduzione del colesterolo e l’uso di statine sono entrambi associati ad un aumento del rischio di cancro7.

Conclusioni

La ricerca sulle statine è caratterizzata da una strategica presentazione dei dati in cui le statistiche di rischio relativo e rischio assoluto sono state volutamente utilizzate da un lato per amplificare l’apparenza del beneficio, dall’altro per minimizzare i seri eventi avversi.

Eventi che sono stati ignorati o spiegati in modo che sembrassero verificarsi per caso.

Anche se solo il 10% dei pazienti che assumono statine dovesse presentare un evento avverso, il risultato sarà che milioni di persone sane diventeranno pazienti e sperimenteranno effetti avversi senza beneficio.

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Monica Martinuz
Naturopata Educatrice in Nutrizione Funzionale®, Saggista, Ricercatrice autonoma e Blogger dal 2007.
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